Ciro e Salvio Rapuano – Pizzaioli per passione- Tra tradizione e innovazione

Seduto ad un tavolo della pizzeria 400 gradi dei fratelli Rapuano, Ciro e Salvio, in via Concezione a Montecalvario per consumare il mio, meritato, pasto napoletano, rifletto e penso alle domande da porre ai due fratelli pizzaioli.

In realtà ci rifletto poco, il mio pensiero in quel momento viaggia in direzione pizza, la pizza, la margherita che ho li avanti a me. È un momento sacro, che dura, però’, men di un attimo, almeno sul piano reale e concreto perché su quello sensitivo resta il sapore ancora per un po’ di. Quella pizza la si mangia in fretta ma ti stuzzica e coccola per tutto il tempo che resti a tavola.

 

-Come nasce la storia dei Rapuano pizzaioli?

Nasce nel momento in cui, avendo trovato un locale in questa zona, decidiamo di contribuire a portare l’arte della pizza ai quartieri spagnoli. E decidiamo di farlo con il nostro metodo.

-Cioè?

Noi adoperiamo un processo di lunga lievitazione che è patrimonio della scuola pizzaiola napoletana tradizionale. Inoltre la nostra idea è di abbinare tradizione ed innovazione.

-In che modo?

Lo facciamo associando all’arte tradizionale della pizzeria napoletana non solo gli ingredienti e le materie prime convenzionali ma anche prodotti nuovi sul mercato o comunque poco utilizzati finora nella gastronomia.

-Fatemi qualche esempio di ingredienti e metodi più innovativi.

Ad esempio la crema di radicchio o la crema di porcini come ingredienti. Inoltre spesso realizziamo pizze con il cornicione ripieno oppure pizze da forme particolari.

-L’arte del pizzaiolo napoletano è patrimonio dell’UNESCO. Ciò che benefici porterà alla vostra professione?

Innanzitutto speriamo che questo possa portare nel medio-lungo termine dei benefici concreti per chi svolge o ha intenzione di seguire questo percorso professionale. Per ora c’è un sicuramente un benefico culturale in quanto si è riconosciuta a tutti gli effetti la figura del pizzaiolo a livello professionale e soprattutto si è messo nero su bianco il legame stretto tra pizza e Napoli.

-Qui da voi si amano di più le pizze tradizionali o quelle innovative?

Pensiamo ci sia un equilibrio tra i due generi anche se, ovviamente, le pizze più vendute sono sempre la margherita e la marinara, pizze napoletane per antonomasia.

-Turisti e napoletani amano pizze differenti?

Non sempre e dipende. Facciamo ad esempio una pizza con il cornicione ripieno di ricotta, con pomodorini e salame che i turisti amano molto, quasi al pari della margherita, forse perché per loro rappresenta una novità.

-Francamente, cosa è la pizza per voi?

La pizza è passione. Lo è quando la prepariamo, quando vediamo prepararla e anche quando la mangiamo. Ogni momento passato tra le pizze, che sia per lavoro o per piacere a tavola diventa sempre uno spunto di riflessione per poterci migliorare. Non sai che soddisfazione dia il ricevere dei complimenti dai clienti quando si porta a tavola la pizza.  È un amore che cresce ogni giorno di più.

‘A pizza è na bella femmena.

-Cosa si prova ad aver potuto insegnare a fare la pizza ad un grande chef, di grande impatto mediatico, quale Chef Barbieri?

È stato emozione e soprattutto stimolante aver potuto insegnare qualcosa ad un grande chef stellato e l’aver ricevuto tanti complimenti da lui. La cosa più bella però è stata quella di poter trasmettere a qualcun altro l’arte della pizza. L’arte è appunto condivisione di emozioni. Noi crediamo che quella della pizza sia qualcosa che deve essere condivisa e vissuta anche al di fuori dell’ambito professionale. È un’arte che può essere ricreata è proposta in ogni contesto, in ogni condizione, ed è bello così.

-Allora anche la pizza napoletana, intesa come esperienza gastronomica professionale, può essere prodotta in qualsiasi contesto?

Si e no. Mi spiego meglio: si può fare un buon prodotto ovunque ma non si può riprodurre in toto l’esperienza della pizza napoletana in quanto essa non è data solo dal prodotto in sé ma da tutto il contesto, territoriale e circostanziale. Una pizza per essere davvero napoletana deve essere vissuta, mangiata e digerita nei vicoli napoletani. Non ci sono compromessi.

-Il vostro rapporto con i quartieri spagnoli?

È il nostro quartiere, che dire? Siamo qui da sempre e ci permette di lavorare e fare bene, anzi ci dà una spinta in più ogni giorno.

-Se i quartieri spagnoli potessero essere rappresentati con una pizza come sarebbe?

Ricotta, salame e pomodorini. La pizza Montecalvario che è già presente nel menù(ridono).

-Quale quella parte dei quartieri che è più rappresentativa per voi?

Sicuramente lì dove è il murales di Maradona. Maradona qui non è solo calcio, è riscatto.

Quella dei Rapuano è una vera pizza napoletana, quella legata alla scuola di Via Dei Tribunali, che ti fa sentire il sapore ed il calore del forno a legna, che ti urla dentro, come una folla nei vicoli della città. Mangi un pezzettino di Napoli e, come avendo nel proprio interno un Vesuvio inverso, ti si riversa dentro un’eruzione di passione.

 

 

Di Fabio De Rienzo

 

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