“I mestieri antichi” Intervista a Don Ciro o’ Scarpariello.

La Napoli che fu ed i mestieri antichi che ancora esistono ma che si estinguono ma che a volte resistono.
Sarebbe difficile, sicuramente superficiale, pensare di raccontare Napoli e/o una parte di essa, i quartieri spagnoli, tralasciando e trascurando il passato, cioè le fondamenta, le basi, le tradizioni e le culture genitrici di questa odierna napoletanità.
Di quella Napoli che fu ne restano tracce, molto spesso, sottili ed impercettibili ma indelebili che i colpi di spugna dell’informazione mediatica nazionale non possono cancellare.Per questo ancora oggi esistono storie che resistono, resistono al tempo, alla frenesia ed elettricità compulsiva dei tempi moderni e, soprattutto, resistono alla globalizzazione culturale e sentimentale (oh sì, sembra che oggigiorno tutti dobbiamo provare, sentire,emozionarci, indignarci, divertirci, annoiarci all’unisono,attraverso le stesse immagini, condividendo gli stessi sentimenti e gusti).
Le storie di cui voglio cominciare a parlare riguardano quei mestieri che hanno contraddistinto i quartieri spagnoli, lavori di artigianato che stanno scomparendo lasciando un vuoto nei cuori di chi li ricorda e soprattutto di chi ancora li porta avanti. Una scintilla, un bagliore, forse flebile, c’è e ancora riesce a scaldare quei cuori innamorati della Napoli romantica, quella Napoli che faceva il giro del mondo in una canzone.
Grazie a quel bagliore quei mestieri che da tanto esistono, ancoraoggi, resistono e se parlo di questi argomenti è perché’ ho avuto il piacere di imbattermi, ai quartieri spagnoli, in Don Ciro o’ scarpariello.
Ho intervistato Don Ciro che alla veneranda età di 82 anni porta ancora vanti la sua bottega di ciabattino, ancora per poco però.Ora (rubando una celebre di un Antonio Lubrano imitato Gabriele Marconi) la domanda sorge spontanea: Don Ciro chiude bottegaperché’ alla sua età è giunto il momento di riposarsi oppure perché’ il suo è un lavoro che non dà più sostentamento?
A questa domanda provate a rispondere voi dopo aver compreso un po’ le ragioni di Don Ciro attraverso un’intervista a cui l’ho sottoposto:
L’INTERVISTA
-Da quanto porta avanti questa bottega ai quartieri spagnoli?
Sono 67 anni che lavoro qui. Io sono originario di Caserta ma posso e devo definirmi un quartierano dato il tempo che ho trascorso qui.
-Come va il suo lavoro oggi?
Io sto per cedere l’attività perché oramai non è più una tipologia di lavoro che può portare tanti frutti e poi avendo 82 anni sono stanco ed anche i miei figli credono che sia giunto per me il momento di riposarmi.
-Perché’ il suo lavoro o, parlando in generale, i mestieri di artigianato hanno subito una forte declassazione?
Soprattutto perché’ le esigenze e le abitudini di vita sono cambiate in modo estremo. Oggi tutto quel che si produce e si fa, e non parliamo solo di oggetti materiali, è destinato ad un ciclo di vita da usa e getta. Nel mio caso specifico mi vien da dire che ho sempre meno clienti perché oggi si realizzano scarpe di bassissima qualità, di plastica, che non possono essere riparate e d’altra parte risulta anche più convenite comprarne di nuove che aggiustarle.
-Questi tempi moderni hanno intaccato anche lo spirito napoletano?
Si, anzi direi che è ciò che più è cambiato. Napoli a partire dagli anni ’80 è cambiata in modo radicale. Il terremoto ha creato delle spaccature economiche che non si sono più risanate e ciò ha portato fame e miseria e di conseguenza quello spirito di collaborazione, quel senso di appartenenza, l’essere una comunità legata come una grande famiglia dove ognuno guardava le spalle dell’altro è venuto a cadere. Credo che la gente prima fosse più genuina e che si contentasse di poco, ora si vuole tutto e subito.
-Cos’è che più ha contribuito al cambiamento di Napoli?
Oltre al terremoto ciò che ha contribuito allo sfracello della nostra città è stata la fine del contrabbando delle sigarette. È vero, si trattava pur sempre di qualcosa di illegale ma le sigarette comunque vengono vendute tutt’oggi dallo stato e il fumo faceva male all’epoca così come fa male è oggi. Era un mercato che dava da mangiare e sostegno a tante famiglie e crollato quell’impero economico ne è subentrato un altro, molto più terribile e degenerativo: la droga. Questo ha segnato in modo estremamente negativo la vita di Napoli ed in particolare quella dei quartieri spagnoli.
-Quali sono gli anni che più volentieri ricorda della sua permanenza sui quartieri?
Quelli dal ’50 fino all’80. Sono anni che mi fan brillare gli occhi e che ricordo con tanta nostalgia, malinconia e anche rabbia pensando a quello che Napoli era un tempo e ciò che poi è diventata.

-Il suo ultimo pensiero alla bottega e ai quartieri?
NON VORREI MAI ANDARMENE.

CONCLUSIONI
Non sapremo, o forse io non saprò, mai se Don Ciro lascia la bottega perché davvero il suo mestiere non è più in grado di restare al passo dei tempi moderni, o perché ha bisogno di riposarsi o perché’, semplicemente, la Napoli che egli ricorda ed ama a non esiste più e, comprensibilmente, quindi non si sente più di casa.
Non lo saprò, forse, mai ma so che Napoli con il dopoguerra e con le vicende degli anni ’80 ha subito gravi ferite che faticano a cicatrizzarsi e che effettivamente hanno radicalmente mutato lo spirito partenopeo. Oggi i napoletani hanno imparato ad auto-medicarsi e forse il pronto-soccorso più efficace è la forte identità che ci ha da sempre contraddistinto e allora, va bene i tempi che corrono, più che bene la comunicazione globale, ma teniamo in vita le nostre peculiarità, le nostre tradizioni, le nostre singolari edinimitabili emozioni e facciamolo anche attraverso i mestieri come quelli di Don Ciro.

Fabio De Rienzo

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