Marco Gaucho Filippi Vignettista Metropolis

I miei Quartieri Spagnoli

I MIEI QUARTIERI SPAGNOLI

 di Marco Gaucho Filippi

Un nodo ingarbugliato privo di un nord per chi prova a districarlo per la prima volta; il posto più lineare del mondo per chi invece ci è nato e cresciuto.

Questi sono i Quartieri Spagnoli, un quadro svedese di basoli, tasselli di umanità necessari a comporre quel meraviglioso e viscerale puzzle che è Napoli.

Uno spazio storico e geografico partorito dalla pietra di tufo, un intervallo di terra che dalla riva del fiume Toledo sale fino alle pendici del monte Vomero.

Una testimonianza antropica di autentica napoletanità.

Qui, se alzi lo sguardo verso l’alto, il cielo lo vedi a strisce. I palazzi scorrono uno di fronte all’altro, si guardano negli occhi, si respirano addosso e si confidano i segreti di chi li abita.

Il sole è una presenza amica, fidata e puntuale: a mezzogiorno scende a scaldare i passi, a cacciare l’umidità dai bassi e ad asciugare l’ultimo bucato, quello parcheggiato in strada.

Conosco i Quartieri Spagnoli da profano. Perché ci spendo parte del mio tempo e delle mie mosse ogni volta che torno a Napoli. Ne ho nozione, ma non come vorrei. Mi piacerebbe saperli meglio. Viverne i luoghi, impararne l’alfabeto.

Non mi prefiggo mai un itinerario definito, un luogo da visitare o un posto dove arrivare. Vago, senza sapere dove, spinto dalla voglia e dalla necessità di sentirmi non più corpo estraneo e straniero, ma parte del tutto, elemento assimilato e assorbito dalla quotidianità che zampilla potente fino a inondarmi.

Ho capito, col tempo, che in luoghi come questo puoi trovare ciò che cerchi soltanto se riesci a perderti, a smarrirti, a lasciarti guidare da sensazioni estemporanee dando ascolto e seguito all’istinto, alle emozioni più inconsce.

Un foglio bianco pronto ad assorbire quanto più inchiostro possibile. Questo divento ogni volta che calpesto i Quartieri.

Osservo tutto: i panari impiccati alle ringhiere dei balconi, i motori arrugginiti dei condizionatori inchiodati ai muri dei palazzi, i fili tesi da balcone a balcone che graffiano la prospettiva e fanno inciampare il vento, la vita che scorre negli atri dei palazzi, dentro le botteghe, nei locali adibiti a magazzino, nei bazar.

Leggo tutto: i messaggi di odio e quelli di amore lasciati ovunque, i resti pallidi di qualche murales, i vecchi annunci mortuari, i cognomi cancellati e quelli nuovi scritti a penna sui citofoni, i prezzi della frutta e della verdura.

Resto affascinato da quel sentimento di dignitosa umanità che sgorga dai bassi, dalla vita che ci pulsa dentro. Non deve essere facile consumare il tempo e invecchiare la propria carne prigioniero di questi pochi metri quadri. Qui l’esistenza troppo spesso si trasforma in “resistenza”. Si procede per mancanze, penurie e scarsità. Da fuori non sembra, chi ci vive è forte e non lo dà a vedere.

Fermo lo sguardo davanti a quello misericordioso di una delle tante Madonne che abitano le edicole votive. Tra lumini accesi e fiori secchi, vegliano le foto e proteggono il ricordo di coloro che non ci sono più. Non importa chi siano e per quale motivo non abitino più da questa parte del cielo. A mamma Maria non interessa ciò, resta una curiosità solo mia.

Mentre fisso i loro volti immobili, uno sciame di motorini mi sorprende alle spalle. Sfrecciano per i vicoli come biglie impazzite di un flipper, infischiandosene di sensi e pedoni. Il rombo delle marmitte vela appena le grida sguaiate dei tanti, troppi ragazzini a bordo. Bambini cresciuti in fretta, tutti più grandi dell’età che indossano.

Continuo per la mia strada. A farmi da bussola è l’odore di cucinato che proviene da una persiana aperta pochi metri più su. Da queste parti i profumi si possono perfino sentire, fanno parte del panorama: se tiri indietro l’aria con le narici, salgono fino alle orecchie e si lasciano ascoltare.

Questi sono per me i Quartieri Spagnoli: un abbraccio stretto, una forza centripeta, un battistero dove bagnare respiri e pensieri.

Vorrei poter rinascere qui, per essere napoletano anche sui documenti.

 

 

Marco Gaucho Filippi (MGF) è nato e vive a Roma. Vignettista del quotidiano Metropolis, collabora con L’Espresso come autore e curatore del blog satirico “Riso avaro”. Ha scritto due libri di poesie e alcuni suoi racconti sono stati inclusi in antologie tematiche.

Ama Napoli e i suoi derivati.

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