Il pensiero di Vico Pensiero – Passeggiate notturne napoletane tra poesia e realtà

Il pensiero di Vico Pensiero

Passeggiata in una sera napoletana tra poesia e realtà

“Ma sulitario e lento
more ‘o mutivo antico;
se fa cchiù cupo ‘o vico
dint’a ll’oscurità.”

Salvatore di Giacomo riesce ad entrare nell’anima di un Napoletano come pochi.
Stasera cercavo di ricordare – non senza qualche vuoto di memoria – i versi di “Pianefforte ‘e notte”, mentre tornavo verso la mia auto, parcheggiata sotto il Ponte di Sanseverino.
Le sere napoletane di Giugno sono meravigliose e quando non addorano ‘e mare, addorano di poesia antica narrata da leggende che si perdono tra vicoli che addorano di pummarola e vasenicòla. Ma come si fa.

E’ tra sti vicoli addurusi e palazzi antichi, in questo casino di cunicoli scavati per tremila anni, nell’intreccio di vie disegnato dall’allievo di Pitagora che ti si svela la città più misteriosa e segreta del mondo: Napoli.

Si può iniziare l’opera di rivelazione solo da qui: da questo labirinto stretto e gonfio di dislivelli che mostra i segni di un passato che è un tutt’uno col presente ed il futuro. Questa città si sfoglia, è libro fatto di tufo e di pietra lavica, racconta volti e gesti di personaggi arcaici; svela verità attraverso l’immaginazione e rende la materia grigia una tavolozza di colori. Dagli antichi dipinti ai moderni graffiti, Parthenope è tutta un’opera d’arte. Azzurra, gialla, blu e nera come la notte, a seconda di come la guardi, di come ti senti.
E’ tutto sopra: un concentrato di sampietrini dove rompi i tacchi delle scarpe un giorno sì e l’altro pure. Ed è tutto sotto: in quelle semi-sconosciute stade del sotterraneo mondo che non muore di passato ma vive sotto i nostri piedi.
L’unica polis al mondo a diventare una Metropoli. La sola che ingloba, resiste, cambia, muore e rinasce continuamente.

Ma stavolta non è una storia di sole. La luce non squarcia vicoli bui. È notte, fonda.

Se il delirio della passione non vi spaventa o, semplicemente, volete sperimentare anche solo per qualche istante quanto la fantasia riesca a creare, provate a fare un viaggio mentre passeggiate, di notte, nel centro di Napoli, costeggiando l’Archivio di Stato.
Ci siete?
Guardatevi intorno.

Fino ad un centinaio di anni fa, proprio qui, c’era un vicolo oscuro, buio, misterioso, nel quale si celebrava ogni notte il trionfo dell’insana passione su ogni ragione.

Vico Pensiero.

La targa di Vico Pensiero è attualmente custodita nei locali della Società Napoletana di Storia Patria, sopravvissuta, grazie a Benedetto Croce, agli interventi del Risanamento che cancellarono la stradina ma non il suo incantesimo. Scenario di un’ossessione d’amore. ‘Nu suspiro doce, mi piace chiamarlo.

Immaginate un uomo passeggiare di notte, distrattamente. All’imbocco di un vicoletto buio, alza gli occhi e trova davanti a sè una bellissima ragazza dai lunghi capelli scuri con gli occhi neri, neri come il piperno, intensi come la notte che li circonda.
Il giovane uomo si innamora all’istante, folgorato da quella visione femminile che gli promette incontri d’amore, in quello stesso vicolo, ogni notte, per un tempo indefinito.
La giovane ragazza diventerà la sua ossessione. Un’ossessione d’amore, ‘nu suspiro doce che lo legherà a lei senza ragione.

Ma, la passione, si sa, è fuoco che brucia violentemente ed in una di quelle notti tanto attese, arrivato finalmente in Vico Pensiero, il giovane poeta si troverà ad attendere invano la sua amata, che non arriverà mai. Da quella notte, non la rivedrà più.

Nessuno conosceva quella ragazza dai lunghi capelli neri e dagli occhi scuri. Nessuna donna corrispondeva alla descrizione che il giovane innamorato faceva agli abitanti del vico girando in lungo e in largo il quartiere, per giorni, domandando di lei, cercandola ovunque, disperato.
Le malelingue dissero che questa donna che tanto desiderava rivedere, in realtà non era mai esistita, frutto della sua mente. Forse era rimasto vittima di una strega.

Ossessionato e delirante, il poeta finirà per impazzire. Vittima di un sortilegio d’amore aveva perduto amore e ragione in quel vicolo.

“Povero pensiero me fu arrobbato, pe no le fare le spese me l’ha tornato”.
(Povero pensiero, mi fu rubato, ma per non pagarne le spese, mi fu restituito).

Custodita ancora oggi nell’Archivio di Stato, questa targa antica, posta in Vico Pensiero, racconta i tormenti di un uomo derubato del suo pensiero, restituitogli solo per un ultimo barlume di lucidità: quello di avvisare chiunque si volesse incamminare per quel vico. L’amore fa impazzire, ruba i pensieri, grida quella lapide.

Poi, sì. Di Vico Pensiero e del suo enigmatico bassorilievo c’è anche una più realistica versione della storia, certamente meno poetica. Ma a chi interessa la realtà?
A voi interessa che probabilmente quelle parole fossero riferite ad un volgare furto di una lapide di marmo?

Ho trovato finalmente la mia auto, intanto. Ho un’abilità nel ricordare versi, ma mai dove ho parcheggiato la macchina.
So voci ‘e notte ‘sti vicoli scuri. Addò nun se vede niente, ma se sente tutte cose.

 

Ylenia Petrillo

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