Il piacere di incontrare Roberto Colella de “La Maschera”

Musica ed eroi sono l’argomento di questa intervista che vede protagonista Roberto Colella, cantante e leader de La Maschera.

Cantante, leader, compositore, autore, musicista, sono tutti sostantivi che gli calzano a pennello, ma sono anche etichette e a noi di quartispagnoli.org le etichette  non piacciono perché servono solo a catalogare per poter seguire gli schemi mentali precostituiti.

Cosi non etichetto né Roberto, né La maschera né il genere musicale che essa proporne. Si parla semplicemente di musica.

Intervisto Roberto a casa sua, nel suo mondo creativo, così posso respirare la sua stessa aria ispiratrice e in tal modo mi rendo conto di aver a che fare con una forza della natura, un’onda anomala in perpetuo movimento che travolge e trascina qualsiasi schema del mondo musicale così come lo conosciamo.

“Sta n’amico mio chiuso ‘into a ‘na galera
Addó ll’unica cella è ‘a voce d’’a miseria
Miseria ‘e tutt’’a ggente che crede ancora
‘e puté cundannà a chi tene ‘a pelle nera
Mentre ‘o popolo dorme isso che ffa?
Cu cchiù ‘e mille culure pitta ‘e mure d’’a città
E nun cerca sòrde, fa’ bbene e scorda
P’’o mmale ggià ce pensa ‘a Lega nord”
Questo è il testo del “pezzo” che Roberto canta nel brano “Gente do Sud” dei Terroni Uniti, pezzo dedicato a Salvatore Iodice con il quale egli condivide una profonda amicizia che, unitamente ad origini familiari, lo lega emotivamente ai quartieri spagnoli.

O’ vicolo e l’alleria e Parco Sofia, i due album all’attivo de La maschera sono un’espressione musicale nuova e al contempo dai sapori antichi, antichi come i suoni di Napoli.
-Questo vicolo ‘e l’alleria l’avete poi trovato? Dove sta?
Abbiamo scoperto che si trova in Portogallo(ride). Ci hanno inviato una foto in cui mostrano che in Portogallo esiste davvero un vicolo, una strada dell’allegria.
In realtà è uno stato d’animo, una condizione mentale che ti porta a pensare e a ricordare gli attimi di felicità, mentre oggi si tende troppo spesso a ricordare ed enfatizzare solo gli aspetti e gli avvenimenti negativi che contrassegnano il percorso della nostra vita.
Il vicolo dell’allegria esiste ogni qualvolta sto bene e ricordo quanto sia bello star bene. C’è bisogno di porre attenzione a questi piccoli attimi di felicità che sono importanti seppur brevi, sfuggenti e temporanei ma nel vicolo dell’allegria essi permangono, restano lì fermi, immobili per lasciare un’impronta tangibile del loro passaggio. È proprio questo che ci proponiamo di ricreare ai nostri concerti: un vicolo ‘e l’alleria per portare attimi di spensierata felicità.
-Dal primo album al secondo, Parco Sofia, cosa è cambiato nel vostro modo di fare musica e di esprimere i vostri sentimenti attraverso essa?
Musicalmente forse qualcosa è cambiato ed è normale perché quando accumuli esperienza impari sempre cose nuove che poi applichi sul campo. Io credo che la vita di un artista, ma non solo, debba essere una strada dritta leggermente in salita, mai in discesa, perché per andare avanti bisogna faticare ed imparare.
Con i testi invece per quanto mi riguarda il discorso è diverso. Oggi come con il primo album non so dirti come nasce un testo perché io non mi ci arrovello la testa per studiarli, per cercarli, io credo che un testo accada, nasca spontaneo e bisogna solo coglierlo.
Le tematiche ed i soggetti invece restano sempre gli stessi: gli ultimi. Vogliamo rendere eroiche quelle figure circondate dal disagio, ad esempio in Parco Sofia i protagonisti sono quelle persone che nella vita reale contano meno di niente ma proprio loro sanno essere eroi. Partire dal nulla per cercare di creare qualcosa di importante è a mio avviso impresa eroica. Una persona eroicamente normale è quella di cui parliamo.
-Citando Caparezza, parliamo quindi una sorta di Luigi Delle Bicocche?
Si, esatto. Un eroe può essere chi riesce a superare le sue difficoltà quotidiane. Tale figura la colloco nel Parco Sofia, che a differenza del vicolo ‘e l’alleria, è un luogo che esiste davvero nella realtà ed è il posto in cui sono nato a Villaricca. Lì, nella periferia della periferia, in una cittadina circondata non da mura di cinta greche ma da disagio e problemi, ho visto tanti amici, conoscenti e persone venir fuori da problemi enormi e sfiancanti.
-Come racconti di questi “eroi” nelle tue canzoni?
In Parco Sofia, che è appunto l’habitat naturale di questi eroi, racconto attraverso metafore ed analogie le storie di persone che combattono ogni giorno. Allo stesso modo, attraverso questo metodo basato sull’apparenza ingannevole, ho raccontato anche di figure differenti. Pulcinella, ad esempio, una figura in apparenza positiva ed allegra è in realtà un malessere di Napoli, è un personaggio che ruba a Napoli le sue qualità migliori per trasformale in stereotipi. Si professa un portatore di allegria e felicità ma è solo la sua a interessargli davvero. Questo tipo di personaggio che tutt’altro che un eroe non può che esistere in un non-luogo, cioè o’ vicolo ‘e l’alleria cosi come i veri eroi esistono in un luogo reale come Parco Sofia.
-Roberto, artisticamente, e non solo, sei più uno che guarda molto al passato magari traendo ispirazione da chi ti ha preceduto, oppure preferisci guardare al futuro progettando o invece né l’uno né l’altro ma guardi solo al presente facendo ciò che vuoi fare?
In realtà tutte e tre le cose mi rappresentano, sono fasi della vita. Personalmente non mi ritengo una persona definita né tantomeno finita ma sono in continua evoluzione e credo che il parlare con la gente sia la migliore forma di apprendimento perché può darmi visoni su passato, presente e futuro che sono tre aspetti che vanno considerati sempre poiché concatenati e decisivi l’uno per le sorti dell’altro.
-La maschera assieme a gruppi quali I Foja sono la nuova forza motrice della napoletanità nel mondo musicale e allora quanto questa forza può riuscire a risvegliare la passione per la napoletanità come un tempo faceva Pino Daniele assieme a tutta la neapolitan power?
Credo che già si sia risvegliata questa passione e lo si percepisce dai tanti lavori in napoletano che si stanno facendo che ritengo molto validi. A noi arrivano tanti messaggi sul genere: “Ci avete fatto amare il napoletano” e questa è una vittoria.

Con Salvatore Iodice

Secondo te i quartieri spagnoli rappresentano l’essenza di Napoli oppure sono un quartiere a sé, con le proprie peculiarità? Facendo un paragone musicale, sono una compilation di musica napoletana oppure un 45 giri?
I quartieri spagnoli sono una compilation di musica non solo napoletana, sono una sintesi dell’essenza di Napoli che a sua volta è un raccoglitore dei suoni del mondo.
-A questo punto dell’intervista faccio una domanda di rito. Stavolta non la faccio ma te ne porgo una differente: Napoli per te che canzone è? E i quartieri spagnoli?
Quando penso ai quartieri non so perché mi viene in mente Lazzari felici. Per Napoli mi è molto più difficile perché la nostra città è un insieme di suoni diversi che provengono da ogni parte del mondo e quindi trovo molto complicato e cerebralmente intricato condensare la mia idea di Napoli in un’unica canzone. Ad esempio Itaca di Lucio dalla mi fa pensare ai pescatori e quindi al porto di Napoli. Te ne potrei elencare tante altre, che siano napoletane, di un cantautore bolognese, dalle sonorità africane o provenienti dal Venezuela, tutte che mi ricordano un particolare aspetto della nostra città.

Roberto Colella canta, scrive, compone, registra, suona ogni sorta di strumento. Ogni cosa che può essere ricollegata all’ambito musicale fa parte del suo essere ma ciò che è più incredibile è che fa ogni cosa con una naturalezza e disinvoltura disarmante, la stessa che avrebbe ogni napoletano nel preparare il caffè.
La naturalezza e la disinvoltura che lo contraddistinguono non fanno pensare ad un artista che saprà, e soprattutto, dovrà far grandissime cose perché lui non sente il peso di ciò e non accusa le fatiche di questo peso sulle spalle perché non è un artista. La musica ha trovato un modo per dare vita alla sua umana espressione: incarnarsi in lui. Non è un artista, è l’arte stessa.
Fermate questo ragazzo perché fra 10 anni dovrà inventare lui stesso uno strumento musicale se vorrà imparare a suonarne di nuovi.
Fermatelo perché tra 10 anni questo ragazzo avrà, così come i ragazzini finiscono(completano) un videogame, lui avrà fernuto ‘a museca.
Fabio De Rienzo

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