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QUARTIERI SPAGNOLI… Tra istinto, umore e pura curiosità.

Riportiamo il racconto di una visita ai Quartieri Spagnoli di Michele Carneglia, guida turistica.

“La giornata è tiepida, il cielo è color azzurro-napoli e una leggera brezza che sale dal Ponte di Tappia e da Santa Brigida s’inoltra in questo dedalo di vicoli e gradoni. E’ una buona occasione per una passeggiata nei “Quartieri”. Come mio solito, non ho una meta o un itinerario preciso da seguire. Mi lascio guidare dall’istinto, dagli umori, dalla pura curiosità cercando di cogliere gli aspetti quotidiani e riannodare i fili della storia e della tradizione.
I famosi Quartieri Spagnoli, una ragnatela di strade, un reticolo senza ossigeno, poca luce, dove i bassi s’intervallano a palazzi nobiliari e chiese monumentali. Un luogo vitale, energico, caotico.

I “Quartieri”, com’è noto, furono ideati nel Cinquecento sotto il Viceregno spagnolo di Don Pedro de Toledo, che realizzò una prima forma di piano regolatore della città con la creazione di Via Toledo (a lui intitolata) e lo sviluppo dell’intera area circostante. Furono costruiti con un impianto geometrico di caseggiati per acquartierare l’esercito spagnolo di stanza nella Regione, in una posizione strategica vicino al Palazzo del Viceré e di fronte al porto.

Nel tempo i Quartieri sono cresciuti a dismisura fino ad occupare l’intero Poggio delle Mortelle, (dalla gran quantità di mirto che vi cresceva!), prosieguo naturale verso il mare dell’altura del Vomero.
Di quell’abbondanza di verde e della natura rurale del luogo, vi sono ancora tracce nella toponomastica attuale, come Vico Nocelle, Vico Giardinetto, Vico Lungo Gelso e nella presenza di lunghi tratti di Pedementine che rappresentavano l’unico collegamento con la parte alta della città.
Oggi, l’origine spagnola dei Quartieri vive ancora nel nome di molte strade, nelle chiese (come ad esempio la Trinità degli Spagnoli), in alcuni santi venerati (come S. Maria del Pilar). O ancora nei resti di antichi complessi conventuali oggi in gran parte inglobati in altre strutture o destinati ad altri usi. Alcuni di questi conventi nacquero come semplici ritiri che le nobildonne dell’epoca si diedero a fondare per accogliere e aiutare le ragazze dedite alla prostituzione. Fenomeno quasi endemico e molto diffuso all’epoca delle milizie spagnole ma che ha attraversato i secoli fino a tempi più recenti.
In uno di questi vicoli a ridosso di Via Toledo sorgeva, infatti, un conservatorio di “convertite spagnole” detto della Maddalena, eretto nei primissimi anni del XVII secolo per volontà di Donna Isabella della Ripa. Oggi del convento non vi è più traccia, ma il nome del vicoletto ne mantiene viva la memoria.
L’origine spagnola è ancora percepibile nello stile architettonico dei palazzi più antichi. Capita sovente, infatti, che tra costruzioni fatiscenti o deturpate dalle sovrapposizioni e dagli sventramenti, emergano palazzi con maestosi portali, mascheroni, soffitti affrescati e stemmi nobiliari. Come ad esempio quello che sorge al civico 46 di Via Santa Teresella degli Spagnoli ovvero il Palazzo Sifola con la sorprendente e splendida facciata in bugnato adornata di stucchi. Secondo alcune fonti Eleonora Pimentel Fonseca prese in affitto un appartamento in questo palazzo, dove avrebbe ospitato i rivoluzionari della Repubblica Partenopea del 99 e redatto il “Monitore Napoletano”.

Tante chiese, alcune veri scrigni d’arte, come la Concezione a Montecalvario sublime opera di Domenico Antonio Vaccaro o la Chiesa di Santa Caterina da Siena che custodisce opere del Fischetti e di Giacinto Diana. O ancora la Chiesa di Sant’Anna di Palazzo la cui cupola domina i vicoli mentre l’interno custodisce opere d’arte e suggestioni storiche. Qui, infatti, fu battezzato il pittore Luca Giordano e qui si sposò la stessa Pimentel Fonseca.

Altre chiese sono diventate meta di pellegrinaggio. In Vico Tre Re a Toledo c’è un piccolo santuario, dedicato a Santa Maria Francesca delle cinque piaghe, prima santa napoletana della Chiesa e Compatrona di Napoli.
La Santa, al secolo Anna Maria Rosa Nicoletta Gallo, nacque e visse nei “Quartieri Spagnoli”. Tra i molti carismi di Suor Maria Francesca c’era il dono della profezia e ancora vivente si verificarono fatti prodigiosi che il popolo considerò come miracoli. Pare che molti anni prima che accadesse, profetizzò anche l’evento della rivoluzione francese.
Annessa alla piccolissima chiesa, vi è la casa dove S. Maria Francesca visse per molti anni della sua vita e dove si recano numerosi fedeli. Soprattutto giovani coppie che affidano alla speranza e alla fede la possibilità di procreare. Infatti, la casa custodisce ancora la sedia sulla quale la Santa pativa sul suo corpo i dolori della passione di Cristo e sulla quale oggi siedono le donne desiderose di avere un figlio.
La suora che oggi le accoglie, ascolta i loro problemi e le loro preghiere e sfiora il loro ventre con un reliquario contenente una ciocca di capelli e alcuni resti ossei della Santa.

Una religiosità, quella dei Quartieri, sempre viva, che si rinnova anche in altre espressioni, per così dire meno canoniche, come testimonia la presenza di numerose cappelle votive che trovi in ogni vicolo.
A Napoli l’edificazione di una cappella votiva non trova la sua giustificazione in un evento miracoloso. Qui le immagini sacre non piangono e non sanguinano. Ogni individuo o una qualsiasi associazione ne può edificare una, perché la cappella votiva è realmente della gente, è una forma di culto che potremmo dire parte dal basso. Accanto all’immagine della Vergine o del Santo di turno, foto di defunti, qualche dedica, fiori ed ex-voto.
La presenza delle edicole votive si associa all’attività religiosa di Padre Rocco, un “missionario cittadino” che dedicò la sua vita alla cura delle classi più povere. Ai tempi, nel ‘700, la città di notte era buia e pericolosa e mentre il governo studiava un piano d’illuminazione della città, Padre Rocco non perse tempo. Distribuì copie di un quadro della Vergine, fece costruire croci di legno, individuò i luoghi più a rischio e vi fece costruire nicchie e piedistalli. A quel punto affidò alla gente del posto l’onore e l’onere di tenere sempre accesi i fanali che illuminavano le cappelle.
Con questa intuizione il Domenicano riuscì a garantire la prima forma d’illuminazione pubblica della città e nel contempo diffondere la sua opera religiosa.

La passeggiata è sempre più piacevole. Cammino lentamente, mi guardo intorno, incrocio sguardi, rispondo ai saluti (perché qui ci si saluta sempre anche se non ci si conosce!).
Colgo la tipica sfumatura linguistica dei “Quarteriani”: una cadenza forte, marcata, teatrale e sempre molto colorita. Ho la strana sensazione di sentirmi a casa. Passo davanti ad alcuni bassi e immancabilmente l’occhio cade curioso sul suo interno.
I bassi di Napoli sono stati teatro di tante storie, di tanta letteratura e di troppe tragedie. Certo non sono più quelli descritti in passato da cronisti e viaggiatori che ne evidenziavano lo squallore, la miseria, l’ibrido e le condizioni di vita al limite estremo del decoro umano. Oggi azzarderei nel dire che anche i bassi, attraverso ingegnose opere di abusivismo edilizio, hanno acquistato una certa dignità senza per questo snaturarsi. Soppalco, tanto di verandina abusiva fiorita, megatelevisioni al plasma, una cucina sempre avviata e un odore di detersivo che si spande nell’aria. Spesso la più svariata mercanzia è esposta tra fotografie e “figurelle” in bella mostra sul comò, perché il basso può essere anche una casa-bottega poiché tutto è ammesso quando serve per “arrangiarsi”.
In quelli dotati di minor “comfort” oggi vivono comunità di indiani, cingalesi e pakistani e così all’odore della “Genovese” o dei “Carciofi arrostiti” si sovrappongono quelli forti e penetranti di cumino, zenzero e curry. E questa mistura di profumi, di facce e colori ci ricorda che da queste parti il “multietnico” è un concetto antico.

Chi crede che il napoletano sia un popolo ozioso, si sbaglia di grosso. Il vicolo si sveglia presto. Anzi, non dorme mai. E anche i Quartieri non sfuggono a questa regola. Questi vicoli hanno una loro vita, che ruota intorno a mestieri vecchi e nuovi, alle tante botteghe artigiane, agli ambulanti, alle bancarelle, che insieme costituiscono la cosiddetta “economia del vicolo”. Un’economia che si adatta velocemente alla realtà circostante e cambia secondo le necessità o le stagioni. L’economia del vicolo ha le sue regole ed è refrattaria a qualsiasi tentativo di norma o “ufficializzazione”.
Se ne ha un esempio chiaro quando si percorre vico Tiratoio; qui, si ha un’idea anche del perché i Quartieri Spagnoli sono una piccola repubblica autonoma. Negli anni Settanta, infatti, la comunità dei Valdesi donò al Comune di Napoli uno spazio nella zona di Rosario di Palazzo con la condizione che vi sorgesse un mercato coperto.
I lavori cominciarono anni dopo e il mercatino fu pronto solo nel 2001. Finalmente si profilava la possibilità per i tanti ambulanti abusivi dei vicoli, di trovare una sistemazione e una pacificazione. Quel mercato non è mai andato a regime e il commercio continua a farsi per strada.
I Quartieri hanno rifiutato l’opera, preferendo il caos delle bancarelle e delle cassette esposte. La gente si trova più a suo agio.

Anche per oggi il mio itinerario volge al termine. Ritorno verso i Gradoni di Chiaia. Li percorro con un senso di leggerezza. Sono soddisfatto e al tempo stesso consapevole di aver colto solo in minima parte aspetti di questo luogo che trasuda di storia, arte, tradizione popolare, di energia vitale. Ci ritornerò presto alla scoperta di nuovi angoli e nuove storie. Ora è il momento di un caffè. E mentre lo gusto, penso già al prossimo itinerario…….”

Michele Carneglia

Guida turistica

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